Le Lucciole
Collettivo femminista e lgbitq
Senza donne non c’è sovranità alimentare
Categories: General

di Esther Vivas (1)

I sistemi di produzione e consumo di cibo sono sempre stati organizzati socialmente, ma la loro organizzazione è cambiata a livello storico. Nelle ultime poche decadi, sotto l’impatto delle politiche neoliberiste, la logica del capitalismo è stata imposta ai modi in cui il cibo è prodotto e consumato (Bello, 2009).

Questo articolo analizza l’impatto delle politiche agro-industriali sulle donne e il ruolo chiave che le donne contadine giocano nel nord come nel sud del mondo nella produzione e distribuzione del cibo. L’articolo analizza se e come il modello d’agricoltura dominante può incorporare una prospettiva femminista e come, invece, i movimenti sociali che si occupano di sovranità alimentare possono incorporare una prospettiva femminista.

Campesinas e donne invisibili

Nei paesi del sud del mondo le donne sono le principali produttrici di cibo, responsabili del lavoro della terra, del mantenere le riserve di cibo, di raccogliere i frutti, ottenere l’acqua e salvaguardare il raccolto. Tra il 60% e l’80% della produzione di cibo nel sud del mondo è prodotto dalle donne (50% in tutto il mondo) (FAO, 1996). Le donne sono le principali produttrici di cereali di base come riso, grano e mais che nutrono le popolazioni più povere del sud. Nonostante il loro ruolo chiave nell’agricoltura e nel cibo le donne, insieme ai loro bambini, sono le più colpite dalla fame.

Per secoli le donne contadine sono state responsabili delle incombenze domestiche, della cura e del nutrimento dei loro familiari, della coltivazione, dello scambio e del commercio di orti comunitari, responsabili della riproduzione, produzione e della comunità, rimanendo il tutto relagato in una sfera domestica e sociale spesso invisibile. Le principali transazioni economiche nell’agricoltura sono state tradizionalmente intraprese dagli uomini nei mercati, con la compravendita di animali e il commercio di grandi quantità di cereali nella sfera pubblica e privata.

Questa divisione dei ruoli, che assegna alle donne il ruolo di cura nelle case così come la responsabilità sulla salute e l’educazione delle famiglie e concede agli uomini la gestione “tecnica” della terra e dei macchinari, mantiene i ruoli di genere assegnati che si riproducono nelle nostre società attraverso i secoli fino al presente (Oceransky Losana, 2006).

Le immagini parlano da sole. In accordo con i dati della Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO, 1996), in molti paesi le donne rappresentano il 70% della forza lavoro nei campi. Sono responsabili dell’approvvigionamento del 90% della fornitura d’acqua domestica e tra il 60% e l’80% della produzione di cibo consumato e venduto dalle famiglie. Sono coinvolte nel 100% della lavorazione del cibo, nell’80% delle attività di immagazzinamento del cibo e trasporto e nel 90% del lavoro richiesto nella preparazione della terra prima della semina. Questi numeri dimostrano il ruolo cruciale delle donne africane nella produzione agricola di piccola scala e nella sussistenza familiare.

In molte regioni del sud del mondo, comunque, in America Latina, Africa sub-sahariana e Asia del Sud, c’è una notevole “femminilizzazione” del lavoro agricolo salariato, specialmente nei settori non tradizionali rivolti all’esportazione (Fraser, 2009). Tra il 1994 e il 2000, in accordo con White e Leavy (2003), le donne ricoprono l’83% dei nuovi impieghi in settori non tradizionali di agro-esportazione, In questo modo, per la prima volta, molte donne hanno ricevuto un pagamento per il loro lavoro con conquiste economiche che danno loro più potere nel prendere decisioni e la possibilità di partecipare a organizzazioni fuori dalle famiglie (Fraser, 2009).

Comunque, questo cambiamento dinamico è stato accompagnato da una marcata divisione di genere nei compiti lavorativi: nelle piantagioni le donne si occupano del lavoro non specializzato come la raccolta mentre gli uomini portano avanti il raccolto e la piantagione.

L’incorporazione di donne nel lavoro salariato significa un doppio carico di lavoro per le donne continuano a occiparsi delle loro famiglie mentre allo stesso tempo lavorano per ottenere degli introiti, principalmente in lavori precari. Le condizioni di lavoro più povere rispetto a quelle della controparte maschile, insieme alla paga inferiore rispetto agli stessi lavori, forza le donne a lavorare più ore per ricevere gli stessi introiti. In India, per esempio, il salario medio di un giorno di lavoro nel settore dell’agricoltura è il 30% meno per le donne che per il gli uomini (World Bank, 2007). In Spagna, le donne ottengono il 30% in meno e questa differenza può arrivare anche al 40% (Oceransky Losana, 2006).

Impatto delle politiche neoliberiste

L’applicazione del Structural Adjustment Programs (SAPs) negli anni ’80 e ’90 nel sud del mondo da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, ha aggravato le già difficili condizioni di una buona parte della popolazione in quei pasi e colpisce le donne in modo particolarmente duro.

Le misure shock imposte dal SAPs forzano i governi del sud del mondo a ritirare i sussidi per alimenti di base come pane, riso, latte e zucchero. Sono state imposte drastiche riduzioni alla spesa per l’istruzione pubblica, la salute, la casa e le infrastrutture. La svalutazione forzata della valuta nazionale (per deprezzare le esportazioni) ha diminuito la capacità di acquisto delle popolazioni locali. Tassi d’interesse aumentati per attrarre il capitale straniero hanno generato una spirale speculativa. Il SAPs ha aggiunto questo all’estrema povertà di molti nel sud del mondo (Vivas, 2008).

Structural Adjustment Policies e privatizzazione hanno avuto ripercussioni maggiori per le donne. Come Juana Ferrer dell’International Gender Comminssion della Via Campesina illustra: “Nei processi di privatizzazione dei servizi pubblici, le persone più colpite sono state le donne. Le donne sono state colpite più di tutti nel campo della sanità e dell’educazione dove hanno storicamente avuto (la più grande) responsabilità per le loro famiglie… Nella misura (in cui) non abbiamo accesso alle risorse e ai servizi pubblici diventa più difficile condurre una vita degna per le donne” (La Via Campesina, 2006: 30).

Il collasso delle campagne del sud del mondo e l’intensificazione della migrazione verso le città hanno portato ad un processo di “de-contadinizzazione” (Bello, 2009). In molti paesi questo processo non ha preso la forma di un classico movimento dalle campagne alla città, in cui gli ex contadini vanno in città per lavorare in fabbrica come porte del processo di indistrializzazione. Piuttosto, la migrazione è stata caratterizzata da un processo di “urbanizzazione disconnessa a partire dall’industrializzazione” in cui gli ex contadini, spinti verso le città, sono poi spint verso le periferie (favelas, slum), molte sopravvivendo grazie all’economia informale e facendo parte del “proletariato informale” (Davis, 2006).

Le donne sono una componente essenziale di questi flussi migratori nazionali e internazionali. La migrazione porta allo smantellamento e all’abbandono delle famiglie, della terra e dei processi di produzione, mentre aumenta il carico della famiglia e della comunità sulle donne che rimango indietro.In Europa, Stati Uniti e Canada le donne che migrano si occupano del lavoro che le donne Europee e Nord Americane non hanno fatto per anni, riproducendo così una spirale invisibile di oppressione, come il nord del mondo esternalizza i suoi costi di cura, sociali ed economici, verso le comunità d’origine di donne migranti.

L’incapacità di risolvere l’attuale crisi sanitaria nei paesi occidentali è dovuta all’incorporazione di un grande numero di donne nel mercato del lavoro. In più, l’invecchiamento della popolazione dei paesi occidentali e l’insensibilità dello stato ai loro bisogni hanno offerto un alibi per l’importazione di milioni di “badanti” dal sud del mondo.Come è stato notato da Ezquerra (2010) “[Questa] diaspora ricopre la funzione di rendere invisibile l’incompatibilità tra la crescita del sistema capitalistico e il mantenimento della vita nel Centro e rende più profonda la crisi della sanità e altre crisi nel Sud… La “catena internazionale della cura” diventa un drammatico circolo vizioso che garantisce la sopravvivenza del sistema capitalista patriarcale” (Ezquerra, 2010:39).

Accesso alla terra

L’accesso alla terra non è un diritto garantito per molte donne. In numerosi paesi del sud del mondo le leggi proibiscono questo diritto e in quei paesi dove dove l’accesso legale esiste ci sono spesso tradizioni e pratiche culturali che impediscono alle donne di averne la proprietà. Come spiega Fraser (2009) “In Cambogia, per esempio, anche se non è illegale per le donne possedere la terra, le norme culturali impongono loro di non possederla; anche se sono responsabili della produzione della fattoria e dell’agricoltura, le donne non controllano la vendita della trra o come questa è trasmessa ai figli” (Fraser, 2009:34).

In India, Chukki Nanjundaswamy dell’organizzazione dei contadini Karnataka State Farmers Association nota che la situazione delle donne riguardo all’accesso alla terra e alla sanità è veramente difficile: “socialmente le contadine indiane non hanno quasi diritti e sono considerate un “di più” rispetto agli uomini. Le donne che vivono in contesti rurali sono le più intoccabili degli intoccabili del sistema sociale di caste” (La Via Campesina, 2006: 16).

L’accesso alla terra per la donne in Africa oggi è ancor più precario a causa dell’aumento delle morti per AIDS. Da una parte, la donne sono più soggette all’essere infettate, ma quando uno dei loro parenti uomini che detiene il titolo della terra muore, le donne hanno grande difficoltà ad averne il controllo. In molte comunità, le donne non hanno diritto all’eredità e inoltre perdono le loro terre e gli altri loro beni quando diventano vedove (Jayne et al, 2006).

La terra è un bene molto importante, permette la produzione del cibo, serve come investimento per il futuro e in modo collaterale implica l’accesso al credito, etc. Le difficoltà che le donne hanno nell’assicurarsi l’accesso alla terra sono solo uno degli esempi di come il sistema agricolo capitalista e patriarcale le colpisce in modo particolarmente duro. Inoltre, quando le donne possiedono il titolo delle terre, nella maggior parte dei casi sono terreni di minor valore o proprietà d’estensione.

Le donne inoltre si confrontano con maggiori difficoltà nell’ottenere prestiti, servizi e rifornimenti. A livello globale, si stima che le donne ricevono solo l’1% dei prestiti totali per l’agricolura e anche quando li ottengono, non è chiaro chi nella famiglia eserciti il controllo sopra questi prestiti (Fraser, 2009).

Queste pratiche non esistono solo nel sud del mondo. In Europa, per esempio, molte donne contadine lavorano nell’incertezza legale più totale. La maggior parte di loro lavora nelle fattorie di famiglia dove i diritti amministrativi sono di proprietà esclusica del proprietario della fattoria.

Come spiega Elizabeth Vilalba Seivane, segretaria di Labrego Galego in Galicia, il problema delle donne nei campi, nel sud come nel nord del mondo, hanno molto in comune nonostante alcune ovvie differenze, “le donne europee sono più focalizzate sul combattere per i nostri diritti amministrativi sulle fattorie, mentre altrove sono richiesti profondi cambianti, che hanno a che fare con la riforma della terra o l’accesso alla terra e altre risorse di base” (La Via Campesina, 2006: 26).

Negli Stati Uniti, Debra Eschmeyer della National Family Farm Coalition (3) spiega alcune pratiche che mostrano questa inequità: “Per esempio, quando le donne contadine vanno a cercare da sole un prestito in banca, è molto più complicato [che] se un contadino uomo cercasse un prestito” (La Via Campesina, 2006: 14).

Agribusiness vs sovranità alimentare

Oggi, il modello agro-industriale corrente si è dimostrato incapace di soddisfare i fabbisogni detetici degli individui, oltre all’essere distruttivo per l’ambiente. Stiamo affrontanto un sistema alimentare e agricolo con un’alta concentrazione di compagnie lungo l’intera catena. É monopolizzato da un pugno di multinazionali dell’agrobusiness ed è sostenuto dai governi e dalle istituzioni internazionali che sono divenuti complici, se non co-beneficiari, in un sistema di produzione alimentare insostenibile. Questo modello è uno strumento imperialista con lo scopo di controllare politicamente, economicamente e socialemente il sud del mondo da parte dei maggiori poteri economici del nord come gli Stati Uniti e l’Unione Europea (Toussaint, 2008; Vivas, 2009).

Come Desmarais (2007) nota, il sistema agricolo può essere compreso come un’ampia catena orizzontale che è stata portata via dalla produzione e dal consumo in favore dell’appropriazione di diversi passaggi della produzione da parte dell’agrobusiness, portando alla perdita dell’autonomia contadina.

La crisi alimentare che è scoppiata del 2007 e 2008, a causa del forte incremento del prezzo dei cibi base (4), sottolineando l’alta volatilità del sistema agricolo e alimentare. Introduce anche la figura di oltre un miliardo di persone affamate nel modno, una persona su sue, in accordo con i dati della FAO (2009).

Il problema non è la mancanza di cibo, ma piuttosto l’incapacità di accedervi. Infatti, la produzione di grano nel mondo è triplicata dagli anni ’60, mentre la popolazione mondiale è solo duplicata (GRAIN, 2008). Possiamo notare che c’è abbastanza cibo per nutrire l’intera popolazione mondiale. In ogni caso, per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo spendono tra il 50% e il 60% dei loro guadagni in cibo (anche fino all’80% nei paesi più poveri), i prezzi crescenti rendono impossibile l’accesso al cibo.

Ci sono motivi fondamentali che spiegano la profonda crisi alimentare. Le politiche neoliberali applicate indiscriminatamente negli ultimi trentanni su scala globale hanno forzato mercati vulnerabili ad aprirsi all’economia mondiale. Il pagamento del debito da parte dei paesi del sud ha portato alla privatizzazione di beni e servizi in precedenza pubblici (acqua, protezioni all’agricoltura). Aggiungiamo un modello di agricoltura e produzione alimentare in servizio della logica capitalista e abbiamo i fattori che hanno contribuito maggiormente alla situazione che ha smantellato un modello in precedenza vincente di agricoltura contadina che ha garantito la sicurezza alimentare alle persone per decenni (Holt-Giménez and Patel, 2010). Questo ha portato a un impatto molto negativo sulle persone, in particolare le donne, e sull’ambiente.

La sovranità alimentare è una potente alternativa a questo modello distruttivo globale. Questo paradigma promuove “il diritto di definire le proprie politiche agricole e… di proteggere e regolare la produzione agricola domenstica e il mercato domestico” (VVAA, 2003: 1). La sovranità alimentare cerca di riottenere il diritto a decidere cosa, come e dove produrre quello che mangiamo. Promuove l’idea che la terra, l’acqua e i semi sono nelle mani dei contadini e che noi meritiamo il controllo sul nostro sistema alimentare.

C’è una prospettiva femminista intrinseca incoporata nella sovranità alimentare. Come segnalato da Yoon Guem Soon, una contadida coreana e rappresentante della Via Campesina in Asia: “il femminismo è un processo per ottenere un posto decente per le donne nella società, per combattere la violenza contro le donne e per ottenere e reclamare la nostra terra e salvarla dalla mani delle multinazionali e delle grandi compagnie. Il femminismo è un modo per le donne contadine di prendersi un ruolo attivo e di valore nella società” (La Via Campesina, 2006:12).

La Via Campesina

La Via Campesina è il principale movimento internazionale di piccoli contadini. Promuove il diritto di tutte le persone alla sovranità alimentare. La Via Campesina è stata fondata nel 1993, all’alba del movimento anti-globalizzazione, ed è gradualmente diventata una delle maggiori organizzazioni in critica alla globalizzazione neoliberista. La sua ascesa è espressione della resistenza contadina al collasso del mondo rurale causato dalle politiche neoliberiste e all’intensificazione di quelle politiche come parte della World Trade Organization (Antentas e Vivas, 2009a).

Da quando è stata fondata, la Via Campesina ha promosso un’identità “contadina femminile” che è politicizzata, legata alla terra, alla produzione del cibo e alla difesa della sovranità alimentare, costruita in opposizione al modello d’agro-business contemporaneo (Desmarais, 2007). La Via Campesina incorpora un nuovo tipo di “internazionalismo contadino” (Bello, 2009), che può essere visto come una “componente contadina” della nuova resistenza internazionale presentata dal movimento anti-globalizzazione (Antentas e Vivas, 2009).

Nel 1996, in coincidenza con il World Food Summit alla FAO a Roma, la Via Campesina ha sottolineato la sovranità alimentare come un’alternativa politica al sistema alimentare profondamente ingiusto e predatorio. Questo non implica un romantico ritorno al passato, ma piuttosto riscopre la conoscenza e le pratiche tradizionali e le combina con le nuove tecnologie e le nuove conoscenze (Desmarais, 2007). Come notato da McMichael (2006), c’è una “mistificazione del piccolo” che ripensa al sistema alimentare globale per incoraggiare le forme democratiche della produzione e distribuzione del cibo.

Una prospettiva femminista

Nel tempo, la Via Campesina ha incorporato una prospettiva femminista, lavorando per raggiungere l’uguaglianza di genere nelle loro organizzazioni e costruire alleanza con i gruppi femministi, includendo la Marcia Mondiale delle Donne, tra gli altri.

Al cuore della Via Campesina, la battaglia delle donne è situata a due livelli: difendendo i loro diritti come donne nelle organizzazione e nella società in generale e nella lotta come donne contadine insieme ai loro colleghi contro il modello di agricoltura neoliberale (EHNE and La Via Campesina 2009).

Il lavoro femminista della Via Campesina ha portato a passi in avanti importanti sin dal suo inizio. Nella Prima Conferenza Internazionale a Mons (Belgio) nel 1993, tutti i coordinatori eletti erano uomini. Nella dichiarazione finale la situazione delle donne contadine non ha ricevuto quasi menzione. Benchè identificasse il bisogno di integrare le necessità delle donne nel lavoro della Via Campesina, la conferenza ha fallito nello stabilire un meccanismo per assicurare la partecipazione delle donne negli incontri successivi. Così, alla Seconda Conferenza Internazionale a Tlaxcala (Messico) nel 1996, la percentuale di donne che hanno partecipato era il 20% del totale: la stessa della Prima Conferenza Internazionale. Per rispondere a questo obiettivo, sono stati creati uno speciale comitato di donne (più tardi conosciuto come il Comitato delle Donne della Via Campesina) e metodi che permettono una rappresentanza e partecipazione migliore.

Questa mossa ha facilitato l’incorporazione dell’analisi femminista nella Via Campesina. Così, quando la Via Campesina ha presentato il concetto di sovranità alimentare al World Food Summit della FAO a Roma nel 1996, le donne hanno contribuito con le proprie pretese. Queste includevano il bisogno di produrre cibo localmente e hanno aggiunto la dimensione della “salute umana” alle “pratiche agricole sostenibili”, pretendendo una drastica riduzione dell’apporto chimico nocivo e difendendo la promozione attiva dell’agricoltura biologica. Le donne hanno anche insistito sul fatto che la sovranità alimentare non potrebbe essere raggiunta senza una grande partecipazione femminile nella definizione delle politiche rurali (Desmarais, 2007).

Per Francisca Rodriguz dell’associazione contadina ANAMURI in Cile: “Riconoscere la realtà e i bisogni delle donne contadine è stata una sfida in tutti i movimenti contadini… La storia di questo riconoscimento è passata attraverso vari passaggi di lotta per il riconoscimento dall’interno, per rompere con le organizzazioni scioviniste… nel corso degli ultimi vent’anni, le organizzazioni di donne contadine hanno ottenuto [un’] identità… l’abbiamo ricostruita come donne in un ambiente rurale piuttosto faticoso” (Mugarik Gabe, 2006:254).

Il lavoro della Commissione delle Donne ha aiutato a promuovere scambi tra le donne di differenti paesi, includendo incontri specifici di donne in coincidenza con summit internazionali. Tra il 1996 e il 2000, il lavoro della Commissione si è concentrato principalmnte sull’America Latina, attraverso corsi, scambi e discussioni e le donne contadine hanno aumentato la loro partecipazione in tutti i livelli e nelle attività della Via Campesina.

Come Annette Desmarais sottolinea “Nella maggior parte dei paesi le organizzazioni agricole e contadine sono dominate dagli uomini. Le donne della Via Campesina rifiutano di accettare queste posizioni subordinate. Riconoscendo la lunga e difficile strada davanti, le donne accettano la sfida con entusiasmo e promettono di avere un ruolo maggiore nel sviluppare la Via Campesina come un movimento impegnato nell’uguaglianza di genere” (Desmarais, 2007:265).

A ottobre del 2000, appena prima della Terza Conferenza Internazionale della Via Campesina a Bangalore (India), si è organizzata la Prima Assemblea Internazionale delle Donne Contadine. Questo ha consentito una maggiore partecipazione delle donne nell’organizzazione. L’Assemblea ha adottato tre obiettivi principali: 1) assicurare la partecipazion del 50% delle donne a tutti i livelli decisionali e nelle attività della Via Campesina, 2) mantenere e rafforzare la Commissione delle Donne e 3) assicurarsi che documenti, corsi, eventi e discorsi della Via Campesina non avessero contenuti sessisti o un linguaggio sessista (Desmarais, 2007).

I membri della conferenza hanno concordato a cambiare la struttura istituzionale per assicurare l’uguaglianza di genere. Come Paul Nicholson della Via Campesina sottolinea: “[A Bangalore] si è stabilito che l’uguaglianza degli uomini e delle donne nei luoghi e nelle posizioni di rappresenta nella nostra organizzazione ha aperto un intero processo interno di riflessione sui ruoli delle donne nella lotta per i diritti delle donne contadine… La prospettiva di genere è stata affrontata ora in un modo serio, non solo nel contesto della parità nelle responsabilità, ma anche un dibattito profondo sulle radici e i tentacoli del patriarcato e la violenza contro le donne nel mondo rurale” (Food Sovereignty, Biodiversity and Cultures 2010: 8).

Questa strategia ha forzato le organizzazioni membri della Via Campesina a livello nazionale e regionale per ripensare il loro lavoro in una prospettiva di genere e per incorporare nuove misure per rafforzare il ruole delle donne (Desmarais, 2007). Josie Riffaud della Confédération Paysanne in Francia afferma che “la decisione è stata critica sulla [mancanda di] parità [di genere] nella Via Campesina, come riconosciuto dalla mia organizzazione, la Confédération Paysanne. Anche noi applichiamo questa misura.” (La Via Campesina, 2006: 15).

Come parte della Quarta Conferenza Internazionale a Sao Paulo, Brasile, nel giugno 2004, la Seconda Assemblea Internazionale delle Donne Contadine ha radunato insieme più di un centinaio di donne da 47 paesi di tutti i continenti. Le linee guida dell’azione che sono emersa dall’incontro indicavano di agire contro la violenza fisica e sessuale contro le donne sia a livello nazionale che internazionale, richiedere eguali diritti e investire sull’educazione. Come indica la dichiarazione finale: “Esigiamo i nostri diritti per una vita dignitosa, rispetto per i nostri diritti sessuali e riproduttivi e un’aumento immediato delle misure per sradicar tutte le forme di violenza fisica, sessuale, verbale e psicologica… Abbiamo l’urgenza che gli stati aumentino le misure per rafforzare la nostra autonomia economica, l’accesso alla terra, alla salute, all’educazione e a un uguale status sociale” (2nd International Assembly of Women Farmers, 2004).

A Ottobre del 2006, il Congresso Mondiale delle Donne della Via Campesina si è trovato a Santiago de Compostela, Spagna. I partecipanti hanno incluso le donne dalle organizzazioni agricole in Asia, Nord America, Europa. Africa e America Latina, con l’obiettivo di analizzare e discutere il significato dell’uguaglianza nei campi da una prospettiva femminista e un piano d’azione per raggiungerla. In una delle presentazioni, il Sergia Galván’s Women’s Health Collective della Repubblica Dominicano, ha evidenziato come le donne della Via Campesina avessero tre sfide davanti; 1) portare avanti la discussione teorica per includere la prospettiva femminista contadina nell’analisi femminista tradizionale, 2) continuare a lavora sull’autonomia come un riferimento vitale per il consolidamento dei movimento delle donne contadine e 3) andare oltre il senso di colpa nelle lotte per posizioni di potere più alte nei confronti degli uomini (La Via Campesina, 2006).

Il Congresso Mondiale delle Donne della Via Campesina ha enfatizzato il bisogno di rafforzare maggiornmente l’articolazione delle donne della Via Campesina e ha creato meccanismo per uno scambio migliore di informazioni e piani spefici di lotta. Tra le proposte concrete c’era l’articolazione di una campagna mondiale per combattere la violenza perpetrata contro le donne, per estendere la discussione a tutte le organizzazioni che sono parte della Via Campesina e per lavorare per riconoscere i diritti alle donne contadine nel domandare uguaglianza nell’accesso alla terra, al credito, ai mercato e ai diritti amministrativi (La Via Campesina, 2006).

Alla Quinta Conferenza Internazionale a Maputo, Mozambico, nell’ottobre 2008, la Via Campesina ha ospitato la Terza Assemblia Internazionale delle Donne. L’assemblea ha approvato il lancio di una campagna che riguarda tutte le forme di violenza affrontata dalle donne nella società (fisica, economica, sociale, sessista, culturale, l’accesso al potere) che sono anche presenti nelle comunità rurali e nelle loro organizzazioni.

Il lavoro, che punta all’ottenere una migliore uguaglianza di genere, non è facile. Nonostate l’uguaglianza formale, le donne affrontano ostacoli mentre viaggiano o partecipano ad incontri e si incontrano. Come Annette Desmarais (2007:282) sottolinea, “Ci sono molti motivi per cui le donno non partecipano a questo livello. Forse la più importante è la persistenza delle ideologie e delle pratiche culturali che perpetuano relazioni di genere ineguali e l’ingiustizia. Per esempio, la divisione del lavoro per motivi di genere significa che le donne contadine hanno meno accesso alle risorse più prezione, e tempo, per partecipare come leader nelle organizzazioni agricole. L’essere coinvolte nel lavoro riproduttivo, produttive e della comunità rende molto meno facile per le donne avere tempo per sessioni di formazione e apprendimento come leader”.

E’ una lotta titanica e nonostante alcune vittorie concrete affrontiamo una lunga lotta nelle nostre organizzazioni e, più in generale, nella società.

Tessendo alleanze

La Via Campesina ha stabilito alleanza con varie organizzazioni e movimenti sociali a livello internazionale, regionale e nazionale. Una delle alleanze più significative è stata quella con la Marcia Mondiale delle Donne, una delle principali reti femministe mondiali che ha chiamato azioni e incontri congiunti e ha collaborato in attività: Il Forum Mondiale per la Sovranità Alimentare tenuto in Mali nel 2007, tra gli altri.

Il primo incontro tra le due reti è stato durante il movimento anti-globalizzazione e il suo obiettivo era di concordare contro-summit e attività con il World Social Forum. L’incorporazione di una prospettiva femminista nella Via Campsina ha generato più solidarietà e questa si è costruita nel tempo. Al Forum per la Sovranità Alimentare nel 2007 a Sélingué, Mali, è stato convocato un incontro dai principali movimenti sociali internazionali come la Via Campesina, la Marcia Mondiale delle Donne, il World Forum of Fisher Peoples e altri per avanzare strategie all’interno di un ampio raggio di movimenti sociali (contadini, pescatori, consumatori) per promuovere la sovranità alimentare.

Le donne sono degli stimoli maggiori in questo incontro, come organizzatrici e partecipanti. Il Nyéléni Forum a Sélingué è stato così chiamato in onore della leggenda di una contadina Malese che ha combattuto per imporsi come donna in un contesto ostile. Delegati dall’Africa, dall’America, dall’Europa, dall’Asia e dall’Oceania hanno partecipato all’incontro e identificato il sistema capitalista e patriarcale come principale responsabile per le violazioni dei diritti delle donne, riaffermando il loro impegno per trasformarlo.

La Marcia Mondiale delle Donne ha affrontato la sovranità alimentare come un diritto umano inalienabile, specialmente per le donne. Miriam Nobre, coordinatore della segreteria internazionale della Marcia Mondiale della Donne, ha partecipato nell’ottobre del 2006 al Congresso Mondiale delle Donne delle Via Campesina nel movimento femminista globale. Il Settimo Incontro Internazionale della Marcia Mondiale delle Donne a Vigo, in Spagna nell’ottobre del 2008, ha tenuto un forum e un’esposizione sulla sovranità alimentare, mostrando i collegamenti tra la lotta femminista e quelle delle donne contadine.

Il successo di questa collaborazione è rappresentata dalla doppia appartenenza delle donne che sono membri attivi nella Marcia Mondiale delle Donne e la Via Campesina. Queste esperienze incoraggiano legami più stretti e una collaborazione tra entrambe le reti e rinforzano la lotta femminista delle donne rurali che è parte di una lotta più ampia contro il capitalismo e il patriarcato.

 

Conclusioni

Il sistema alimentare globale contemporaneo ha fallito nell’assicurare la sovranità alimentare alle comunità. Attualmente più di un miliardo di persone al mondo soffre la fame. Il sistema alimentare globale ha avuto un impatto ambientale negativo molto profondo, promuovendo un modello agroindustriale intensivo che ha contribuito al cambiamento climatico e al collasso dell’agro-biodiversità. Questo sistema è stato particolarmente nocivo per le donne.

 

Sviluppare alternative a questo modello agricolo richiede che si incorpori una prospettiva di genere. L’alternativa della sovranità alimentare al sistema agro-industriale dominante deve avere una posizione femminista per rompere con il patriarcato e la logica capitalista.

La Via Campesina, il più grande movimento internazionale per la sovranità alimentare, si sta muovendo in questa direzione: creare alleanze con altri movimenti sociali (specialmente organizzazioni femministe come la Marcia Mondiale delle Donne) per promuovere una rete di solidarietà tra le donne del nord e del sud, delle aree urbane e rurali e tra loro e i loro compagni. Come dice la Via Campesina: “Globalizzare la lotta. Globalizzare la speranza”.

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Note:
1.Esther Vivas è un menbro del Centro Studi dei Movimenti Sociali all’Univesità Pompeu Fabra in Barcelona.
2. Per un’analisi più dettagliat dell’evoluzione storica del sistema alimentare globale si veda McMichael (2000).
3. Tutte le donne contadine menzionate in questo articolo sono parte dell’organizzazione della Via Campesina.
4. In accordo con l’indice dei prezzi del cibo dato dalla FAO, riferito al periodo tra il 2005 e il 2006, un aumento del 12% l’anno successivo, nel 2007, un aumento del 24% tra Gennaio e Giugno 2008, una crescita di circa il 50%. I cereali e altri alimenti di base sono quelli che hanno risentito maggiormente degli aumenti (Vivas, 2009).

*Parte di questo articolo è stata pubblicata al Food Movements Unite! Strategies to Transform Our Food System (Food First, 2011)

da www.esthervivas.com

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