È passato anche il 23 gennaio e con esso la manifestazione “Svegliatitalia”, con cui associazioni lgbitq di ogni sorta e tipo hanno reclamato i propri diritti.
Come collettivo femminista e lgbitq “Le Lucciole” abbiamo partecipato alla manifestazione, non senza spirito critico e con qualche perplessità. Ci teniamo, di conseguenza, a chiarire la nostra posizione in merito, a partire dalla constatazione che la partecipazione alle piazze del 23 hanno per noi un significato più che positivo.In qualità di soggetti lgbitq vogliamo diritti non perché paghiamo le tasse, non perché siamo gente per bene, non perché in fondo non siamo tanto diversi dagli altri, non perché abbiamo delle belle facce acqua e sapone, non perché andiamo anche noi al lavoro tutti i giorni, non perché siamo gente onesta, non perché siamo innamorat*, monogam*, fedel*, non perché vogliamo avere figlie e figli.
La retorica dell’amore, per quanto facilmente comprensibile veicola anche pericolosi stereotipi e preconcetti. La retorica dell’amore, ad esempio, è la stessa retorica che ha vinto in un paese profondamente cattolico come l’Irlanda, che da un lato e tramite referendum permette ai soggetti lgbitq di convolare a nozze, ma al contempo vieta alle donne di abortire liberamente e in strutture sanitarie sicure, e così facendo le criminalizza.
Le donne che voglio abortire non permettono, secondo costoro, all’amore di “vincere” ma anzi portano avanti un discorso di “morte”, che è opposto a quello di vita che corrisponde all’immagine dell’amore e ne è sua diretta conseguenza. Le donne che non vogliono figli o che vogliono vivere la loro sessualità liberamente lontane da ogni “tradizione” non corrispondono allo standard femminile che madre chiesa si aspetta, mentre quelle lesbiche, che vogliono metter su famiglia, sono proprio per questo, più accettabili.
La retorica dell’amore non include altre realtà esistenti, cioè tutte quelle modalità relazionali e affettive non tradizionali, diverse in uno o più aspetti, differenti dalla monogamia eterosessuale atta alla riproduzione e non vorremmo perciò che l’unione civile, l’intenzione di avere figli, la volontà di rimanere negli anni fedeli ad un partner soltanto, l’esclusività sessuale donata ad una e sola altra persona, diventino requisiti d’accesso ai diritti stessi.
Anche la famiglia Montecchi e quella Capuleti, dinnanzi alla tragedia oramai compiuta, hanno riconosciuto il loro vano sforzo nell’impedire l’amore. Qui, però, non stiamo parlando di Shakespeare ma della necessità di una laicizzazione trasversale, di un allontanamento da una democrazia cristianizzata che educa ad una perbenistica pietà dell’Altro e da una politica che concede premi di consolazione.
Critichiamo aspramente il fatto che la lotta per l’uguaglianza dei soggetti lgbitq sia passata in questi anni attraverso fenomeni quali il pinkwashing e l’omonazionalismo. Ci disgusta che, ad esempio, la festa conclusiva del Gay Pride 2015, si sia conclusa proprio nel padiglione USA di Expo, di fronte al padiglione degli Emirati Arabi, proponendo una idea di paese civilizzato e gay friendly, contro lo stereotipo di un paese invece infelicemente invischiato nel fanatismo religioso islamico.
Ci disgusta che la lotta lgbitq sia stata assunta dal capitalismo trasformando le diversità e peculiarità di ciascun@ in un target sul mercato mondiale e che i partiti italiani della sedicente “sinistra” facciano a gara chi si aggiudicherà il titolo di “frociarolo” dell’anno trasformando la bandiera rainbow in quella di un nuovo stato, più civile, più occidentale.
Restiamo perplessi di fronte ad alcun* compagn* e militanti che si sono lamentati della massicia presenza nelle piazze italiane per i diritti lgbitq, ben più numerosa rispetto a quella riscontrata in altre piazze per altre questioni. Chi, in queste ore se ne esce dicendo “ah, con tutti i problemi che ci sono, dal Jobs Act, alla Buona Scuola, al Tav, stiamo a pensare ai diritti degli lgbitq” percorre la stessa strada di un Salvini che proprio in un suo recente post ha espresso perplessità circa l’impiegare tempo e risorse nella realizzazione di un disegno di legge sulle unioni civili e sulla stepchild adoption.
Pensiamo comunque che non esistano lotte di serie A e di serie B, diritti da acquisire prima o dopo di altri; non esiste un ordine gerarchico delle priorità di lotta ma una profonda intersezionalità.
In un universo ideale potremmo avere anche il tempo materiale per lottare per tutto e per tutt* ma nel mondo neoliberista non è affatto così. Apprezziamo lo sforzo di chi sabato ha scelto di passare il proprio tempo in piazza a manifestare per una questione che riguarda molte altre soggettività oltre -ma non è detto – la propria, e speriamo che possano trovarlo ancora, anche per seguire discussioni, analisi e pratiche legate ad altre questioni politiche tra cui citiamo la lotta femminista, quella delle lavoratrici e lavoratori precari*, quella dell’ambiente, quella antifascista e razzista.
Invitiamo tutt* a partecipare sempre con spirito critico e a domandare di più di quello che viene offerto dai governi e dalle istituzioni, invitiamo tutt* a non guardare al dito ma alla luna.
Rilanciamo con entusiasmo e frociaggine il corteo antirazzista, antifascista e antisessista del 28 gennaio a Milano, contro la presenza di Le Pen, Salvini ed esponenti dei partiti europei di estrema destra, per ribadire che le città che vogliamo rifiutano la fogna leghista e fascista, valorizzando le diversità di culture, corpi e sessualità.